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Nel Maggio 1884, in un discorso tenuto a Pavia, Benedetto Cairoli accenna con alate parole alle Giornate di Sermide:

“ … La magnanima ira di piccole borgate le quali – come Sermide – sfidano la vendetta che le distrugge, furono lampi dell’eroismo schiacciato dalla forza ma immortale nei ricordi”

Anche Giosuè Carducci rievoca in una delle sue più vibranti odi (Nel vigesimo anniversario dell’8 agosto 1848) la tragedia sermidese. Il poeta rappresenta il generale Welden in procinto di porre l’assedio a Bologna lanciando alla città questa terribile minaccia:

Odi, Bologna. Stride ampia la rossa
Ala del foco su’ miei passi.
L’ira porto e il ferro ed il sal di Barbarossa:
Sermide mira. (vv. 46-48)

I versi carducciani, con i loro accenti epici, non sono altro che una sferzante ripresa delle parole di Welden pronunciate e scritte il 3 agosto, cinque giorni dopo la distruzione di Sermide:

“Guai a coloro che restano sordi alla mia voce, e s’arrischiano di far resistenza! Gettate lo sguardo sulle ancora fumanti rovine di Sermide: i suoi abitanti hanno osato far fuoco sui miei soldati e il paese intiero venne tosto distrutto!”
(cfr. il Testo 6 della Parte II)


Nel 1883 (29 Luglio) si scoprono sulla facciata del Palazzo Comunale due lapidi marmoree -una a ricordare i fatti patriottici del Luglio 1848, l'altra in onore dell'immortale patriota Giuseppe Garibaldi.

SERMIDE NEL 29 LVGLIO 1848 CON FORTISSIMO ARDIMENTO ALLE IRROMPENTI ORDE AVSTRIACHE INERME NEGAVA PASSO E RICETTO ASSALIVA NE RINTVZZAVA INTREPIDA IL FVRORE VINTA ARSA PROSTRATA NON PIEGO’ ALLO STRANIERO SICVRA DEI DESTINI D’ITALIA

SERMIDE A' XXIX DI LVGLIO DEL MDCCCXLVIII DA FIAMME NEMICHE GLORIOSAMENTE PVNITA DELLA SVA DEVOZIONE ALL'ITALIA QVI XXXV ANNI DI POI VUOLE EVOCATO IL TVO NOME O GIVSEPPE GARIBALDI CHE PER LA PATRIA E LA LIBERTA' CENTO GLORIOSE BATTAGLIE NESSVNA COMBATTESTI PER L'AMBIZIONE DEH SE TORNI IL DI' DEL PERICOLO SIA IL TVO NOME FAVILLA A MAGNANIME FIAMME PER LA LIBERTA' E PER LA PATRIA MDCCCLXXXIII

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Una cinquantina d’anni dopo i fatti, Sermide otteneva un solenne riconoscimento da parte del Re d’Italia che la elevava al rango di città e ne fregiava il gonfalone con la medaglia d’oro. Il decreto, n. 194, formato da Umberto I nella Villa Reale di Monza, è il seguente:

"Alla città di Sermide viene concessa la medaglia d’oro in ricompensa del valore dimostrato dalla cittadinanza negli episodi militari del 1848. La medaglia d’oro sarà consegnata al Signor Sindaco di Sermide affinché sia fregiato il gonfalone municipale. Dato a Monza il 23 maggio 1899".

(Firmato Umberto - Contrassegnato Pelloux)

L’eccezionale riconoscimento mobilita tutti i Sermidesi per il giorno della consegna, a cominciare da un Comitato delle Signore che ricamano il Gonfalone della Città destinato a portare la Medaglia d’Oro, lo stesso finito lacerato sotto le macerie dei bombardamenti aerei di cinquant’anni fa.

Della cerimonia della consegna, avvenuta in Piazza Risorgimento, si conserva una foto sbiadita in cui si nota il palco delle autorità con il gonfalone al centro, un battaglione di soldati per gli onori militari, la banda musicale e un mare di gente sul quale alcuni ombrelli si aprono come funghi giganti. Era il 10 settembre 1899.

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La memoria e il mito dei fatti che meritarono a Sermide la medaglia d’oro e il rango di città si prolungarono nel Novecento. Nel 1925, in pieno regime Fascista, che tanto si alimentava di retorica patriottica, viene inaugurato il Monumento ai Caduti della Grande Guerra. Per l’occasione il sacerdote don Antonio Rossaro di Rovereto – probabilmente un cappellano degli Arditi – scrive un maestoso Inno a Sermide che viene musicato dal maestro Luigi Cranchi, direttore della banda municipale. Nell’Inno c’è tutto l’armamentario retorico del nazionalismo più ingenuo ed esaltato. È una sequenza di luoghi comuni accostati in versi sicuramente… arditi.
Quanto alla musica, essa procede con ritmo mosso e solenne alternando banda, trombone e coro.